di Laura Guerra
Pizza in tavola ed è subito famiglia. Servita in pizzeria o portata a casa, è la regina della convivialità e fa accomodare, intorno a sapori universali amici, parenti, adulti e bambini. In pizzeria si festeggiano i compleanni, nascono gli amori dei ragazzi, si trova ristoro per la pausa pranzo. Accade in tutto il mondo e più ancora questo è vero a Napoli, dove la pizza è popolare perché racconta l’identità intima di un popolo. Qui lavorano da generazioni famiglie di pizzaioli che hanno fatto della pizza il loro mondo mescolando affetti e generazioni, legami di sangue e capacità manuali ed imprenditoriali, storie di fratellanza che uniscono o dividono.
Dei legami affettivi ed identitari che si allentano o si rinforzano intorno al disco di pasta condito e cotto in forno parliamo con il dottor Guido Ferrarese, psicologo del lavoro di Cava dei Tirreni, specializzato nelle complessità che si vivono nei diversi settori lavorativi. Comincia illustrando il significato valoriale della pizza.
“La pizza non è solo un simbolo universale associato a Napoli e più in generale all’Italia; è un piatto che unisce le persone e che per arrivare a tavola ha bisogno di un lavoro di gruppo ben preciso nelle divisioni dei ruoli e nella distribuzione delle capacità di ogni singolo. Per essere buona deve essere ben fatta, ben cotta e ben servita; questo avviene se ogni componente della famiglia è capace di far prevalere quello che sa fare sul grado di parentela. L’azienda familiare che funziona è quell’azienda che valorizza l’artigianalità dei gesti trasformandoli senza perdere identità, quando questo avviene il prodotto finale è riconoscibile e apprezzato. E’ una specie di codice non scritto che arriva nel piatto direttamente al cliente”.
“Ogni impresa familiare ha elaborato un proprio modello per aggiornare un mestiere artigianale mantenendo viva la tradizione; i migliori, quelli con le aziende più longeve non sono solo bravi sono anche quelli che sanno stare al passo con il cambiamento”.
“C’è l’esperienza della famiglia Condurro dell’Antica Pizzeria da Michele, locale conosciuto e frequentatissimo da decenni a Forcella, che ha creato Michele in the World, marchio che ha esportato quelle celebri margherite e marinare in diversi continenti. Diverso è il caso di Sorbillo cognome diventato famoso grazie a Gino, terza generazione al banco che lo ha promosso puntando su due elementi importanti: le radici familiari rappresentate dalla Zia Esterina e da tutti i suoi zii che danno il nome alle pizze in menu e quella micro-territoriale via Tribunali, diventata un topos della pizza calato nel cuore della città, zona popolare piena di colori.
Quella di Enzo Coccia è invece una storia di resilienza, quella capacità di trasformare un limite, una difficoltà in un’opportunità di crescita e di miglioramento. Cresciuto nel locale di famiglia in zona Stazione Centrale l’impostazione famigliare gli sta stretta, desidera un locale tutto suo ma i prezzi di affitto in centro storico sono molto alti, allora apre un asporto al Vomero e punta tutto su una pizza fatta con materie prime eccellenti che ricoprono un impasto molto curato. L’attenzione alla lievitazione, la scelta accurata degli ingredienti selezionati fra i migliori prodotti in Campania segnano un vero e proprio cambiamento nel modo di fare la pizza senza tradire la tradizione ma esaltandola”.
“Su questo l’esempio più calzante è il modello Tramonti, una pizza fortemente locale portata da una fitta rete di emigranti in una vasta area del Nord Italia dove quel gusto è diventato riconoscibile e familiare”.
Familiare è la parola che può sintetizzare il valore di questo piatto tanto preparato, consumato e amato, un cibo unico e molteplice allo stesso tempo, capace di raccontare la storia di famiglie, strade, case e persone.