Fra Diavolo: pensare industriale e lavorare artigianale

di Francesca Ciancio

 

Preceduta solo dal riso, la pizza è il cibo più consumato al mondo. E non c’è posto dove non arrivi, grazie soprattutto alla logica delle catene. Le più grandi e famose sono tutte all’estero e spesso sfornano pizze che hanno poco a che fare con quelle che siamo abituati a consumare.

Eppure anche in Italia il fenomeno delle catene ha preso piede ed è solo una delle facce dello sviluppo gourmet del piatto più globale che ci sia. Economia di scala e qualità possono andar d’accordo. A patto che nulla venga lasciato al caso. Parlando con Mauro D’Errico, uno dei soci della società Fra Diavolo – gli altri sono Gianlucalberto Lotta, Paolo Tranchida e Luciano Monosilio – escono parole come managerializzazione, lead production, business plan. Perché fare pizze è una cosa maledettamente seria. Il gruppo nasce nel maggio del 2018 partendo dalla pizzeria Fra Diavolo già presente a Diano Marina da cinque anni. Il suo titolare è Paolo Tranchida che della pizza si innamora e comincia a studiarla a fondo partendo dalla panificazione. Aprono poi le sedi di Alassio e Alba. La prima del gruppo è a Genova. Con l’arrivo dell’impronta manageriale l’ascesa sembra inarrestabile.

Il 2019 ha significato aperture a Sanremo, Cuneo, Novara, Torino– ci racconta Mauro – con il 2020 è arrivata la sede di Milano e la seconda di Torino. Si andrà avanti con la provincia lombarda, con l’Emilia Romagna e il Veneto. Il fatturato cresce velocemente, ma mi piace parlare di altri numeri, come quelli dell’occupazione ad esempio: il personale è passato da tredici collaboratori nell’agosto 2018 a centocinquanta. Contiamo di arrivare a oltre trecento con tutte le sedi in programma“.

Un’attenzione al “capitale umano” che non è pura filantropia ma che rientra in un progetto qualitativo che offre garanzie nella replicabilità del format. “Abbiamo un quartier generale a Torino– ci spiega D’Errico – dove tutto è stato centralizzato: finanza e controllo di gestione, amministrazione e marketing. In squadra per le risorse umane abbiamo da poco un ragazzo che viene dal mondo dei motori Rolls Royce; abbiamo un centro acquisti con gestione della logistica; a Novara c’è un laboratorio di produzione interna per la pasticceria e per i topping delle pizze; abbiamo avviato progetti di comarketing con aziende fornitrici per stabilire rapporti di fiducia reciproci. È l’ingegnerizzazione dei processi che salva l’artigianalità che vogliamo portare avanti“.

I prodotti sono locali – e c’è molto Sud ovviamente – diversi presidi Slow Food e tre impasti studiati da Paolo Tranchida, classico, multicereali e uno al carbone. Il tocco dello chef è di Luciano Monosilio, che con gli stessi soci ha iniziato l’esperienza romana di “Luciano Cucina Italiana”. Il suo percorso professionale l’ha portato dal fine dining alla tradizione a tavola del Belpaese. La pizza era quasi un passaggio obbligato. “Ho un fratello pizzaiolo– racconta lo chef – sono sempre stato affascinato dalla panificazione, credo nei miei soci. C’erano tutte le ragioni per entrare nel progetto di Fra Diavolo. Con Paolo si lavora alle ricette, agli abbinamenti, alla scelta dei prodotti. A Novara sto mettendo a punto diverse salse da usare come basi e poi c’è lo studio dei topping. Perseguo la mia idea di cibo buono e democratico e un’idea come questa garantisce massima trasparenza in tutta la filiera“.

Chiediamo – a lui romano de Roma – se l’attenzione del team non è troppo nord-centrica: “Gli studi di fattibilità ci hanno detto che a tirare è la grande provincia italiana che ha sempre più voglia di cose sane e buone”.

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