di Carlo Maria Corti
Si ferma la ristorazione, ma non il cibo. Tra i settori della filiera alimentare italiana ce n’è uno, in particolare, che in questi giorni di emergenza serra le file e va avanti: è l’agricoltura e deve farlo, perché è alla base di tutto, perché se essa si ferma, davanti, c’è solo il deserto nei campi e il caos negli approvvigionamenti.
La risposta dell’agricoltura italiana alla crisi c’è stata, e va detto che è encomiabile: i mercati di vendita stanno resistendo, laddove le ordinanze lo consentono e i produttori si stanno attrezzando per le consegne a domicilio delle materie agricole. Lo stesso per gli agriturismi, sulla falsariga di quanto concesso ai ristoranti.
I problemi non sono pochi, perché gli agricoltori lavorano e resistono contro mille problemi: le difficoltà nei trasporti, i Paesi esteri che bloccano gli arrivi di cibo dall’Italia, il rischio di speculazioni sulle materie prime, così come qualcuno ha tentato di fare con il latte, pretesto della chiusura di bar e ristoranti per disdire al ribasso unilateralmente i contratti nei confronti degli allevatori.
Coldiretti, che è la principale organizzazione di categoria in Italia e in Europa, avverte: in questo momento di difficoltà “è fondamentale garantire la stabilità dei prezzi lungo tutta la filiera per bloccare ogni tentativo di speculazione a danno dei consumatori e degli agricoltori”.
L’imperativo è “assicurare l’approvvigionamento della popolazione con una equa distribuzione del valore lungo la filiera”, evitando rincari al consumo e ribassi ingiustificati alla produzione dove le forniture sono assicurate dal lavoro di 740mila aziende agricole e stalle.
Anche il governo è sul pezzo e ha annunciato “l’impiego della Guardia di Finanza per intervenire duramente contro i comportamenti speculativi di chi impone prezzi fuori mercato o lucra condizioni di vantaggio nelle produzioni di beni di prima necessità”.
Nonostante le difficoltà dell’emergenza Coronavirus sono oltre tre milioni gli italiani che continuano a lavorare nella filiera alimentare, dalle campagne all’industrie fino ai trasporti, ai negozi e ai supermercati, per garantire continuità alle forniture di cibo e bevande alla popolazione.
I consumatori, dal canto loro, stanno riscoprendo ricette e lavorazioni di un tempo. Responsabilmente: dovendo limitare il più possibile le uscite di casa, in molti autoproducono pane e pasta, e la cartina di tornasole è l’aumento, in questi giorni, dell’80% dei consumi di farina. Anche il latte ha avuto un’impennata delle vendite del 20%. Così come si scelgono prodotti di più lunga durata e conservabilità: dal riso (+39%) alla pasta (+51%), al pesce surgelato (+21%), alle conserve di pomodoro (+39%).
Del resto – e sono ancora i numeri a parlare – gli inviti a stare in casa da parte dell’autorità sanitarie e del Governo sono stati raccolti dalla popolazione: quasi la metà degli italiani ha tagliato le uscite anche per andare a fare la spesa. La grande maggioranza dei consumatori (61%) in questo periodo va a fare la spesa circa una volta alla settimana. Non solo: i cittadini stanno raccogliendo gli appelli a scegliere e mangiare italiano: e ciò è importante proprio per sostenere la filiera italiana, aiutando il lavoro degli agricoltori. L’appello è lanciato dal settore primario a supermercati, ipermercati e grossisti.