di Alessandro Scorsone
Che la famiglia abbia avuto, e in molti casi continui ad avere, un ruolo fondamentale nell’Italia agricola è un dato di fatto oggettivo e incontestabile. Basterebbe pensare a “Novecento”, il capolavoro di Bernardo Bertolucci, per comprendere come il nucleo familiare sia stato centrale nella vita rurale del nostro Paese.
Questo, evidentemente, vale anche per la zona di produzione del Prosecco, in questo momento il vino italiano più conosciuto al mondo. Tanto il Veneto che il Friuli, regioni nelle quali si estende l’area del Prosecco, hanno spesso visto nella famiglia l’humus stesso dell’attività, il valore aggiunto che ha consentito questa crescita esponenziale che ha portato, ai giorni nostri, a registrare numeri impensabili e uno status, non solo quantitativo ma anche qualitativo, di assoluto valore.
Del resto è la storia stessa del Prosecco a testimoniare tutto questo. Decenni fa, infatti, esistevano soltanto due “tipologie” di realtà: quella legata alle famiglie e quella legata al mondo della cooperazione. Ma anche nel mondo cooperativo, spesso, erano le famiglie, per così dire, a dettare quelle regole di ingaggio che hanno dato vita a una viticoltura familiare che si è poi espressa in modi diversi. Con famiglie che scelsero di arrivare alla fase di vinificazione/spumantizzazione e altre che preferirono invece dedicarsi esclusivamente alla fase agricola.
E qui venne a determinarsi un’altra caratteristica del mondo del Prosecco, poiché molte delle famiglie che optarono per proporsi anche come case spumantistiche hanno poi avuto una crescita esponenziale che, in molti casi, ha generato quelli che ora, in termini cinematografici, definiremmo spin-off. Non è infatti raro, specie in alcune zone del territorio, trovare diverse realtà produttive accomunate dallo stesso cognome, proprio perché partite, decenni fa, dallo stesso ceppo.
Questa peculiarità, questo mondo produttivo spesso nato e cresciuto nel medesimo ambito familiare, nel corso dei decenni ha anche avuto dei lati negativi. Una certa autoreferenzialità, la mancanza di un sano confronto, l’ostracismo verso il pensiero “altro”. Tutto questo ha provocato, in alcuni casi, un fisiologico ritardo di crescita. Fortunatamente colmato negli ultimi anni; non tanto e non solo con l’arrivo di realtà imprenditoriali “esterne” quanto, e in questo sta il quid plus costituito dall’importanza della famiglia, grazie al fatto che le nuove generazioni, incoraggiate anche dall’escalation del Prosecco, hanno rivitalizzato l’aspetto imprenditoriale e la managerialità. Mantenendo la passione per la terra e l’etica del lavoro, spina dorsale del modello rurale-familiare, ma innestando su questi valori una visione più globale e moderna della viticoltura.
Testo raccolto da MG Logos